L'essenza inventiva della ragione
К оглавлению1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 1617 18 19 20 21 22 23 24 26 27 28 29 30 31 32
34 35 36 39 40 41 43 44 45 46 47 48 49 50
51 52 53 54 56 58 59 60 61 62
Nel prosieguo
della annotazione n. 515, N. inserisce la seguente osservazione:
"(L'adattare,
l'escogitare il simile, l'uguale, - lo stesso processo che ogni impressione
sensoriale percorre, и lo sviluppo della ragione!)"
Questo passo,
lungi dall'essere incidentale perchи messo tra parentesi, fa emergere una concezione
essenziale della ragione, concepita come adattare, escogitare (Ausdichten)
l'uguale al fine di stabilizzare e quindi di assicurare la sussistenza. Per
pensare e determinare una cosa nel suo apparire, la ragione (il cui
"sviluppo" non va inteso in senso biologico ma metafisico, nel senso
di spiegamento dell'essenza) pone anticipatamente la sua identicitа.
Quest'ultima, pertanto, non и qualcosa che viene constatata a posteriori in
seguito a ripetute osservazioni, ma che preesiste ad esse, che и stata
"inventata". Il carattere di cosa, nella sua siffatta
"cositа" - determinata dalla qualitа, la relazione, la causa, ossia
dalle cosiddette categorie - и di origine inventata, quindi piщ elevata
rispetto al nostro fare immediato.
Tale carattere inventivo
della ragione non и una scoperta di N., ma и stato visto e pensato a fondo per
la prima volta da Kant nella sua dottrina della immaginazione produttiva e poi
ripreso dall'idealismo tedesco. Ma lo stesso Platone, quando nel Fedro narra
della caduta dell'idea dall'iperuranio nell'anima dell'uomo, esprime, con
questo mito, l'interpretazione greca del medesimo concetto, cioи dell'essenza
inventiva della ragione, della sua origine piщ elevata.
Nel passo citato,
N. afferma anche che ogni impressione sensoriale percorre il processo di
escogitazione che mira all'uguale; questo significa che non solo le categorie
della ragione sono orizzonti dell'escogitazione, ma giа le stesse impressioni
sensibili, che costituiscono la "ressa" delle sensazioni, sono una molteplicitа
escogitata. Fra le categorie, la categoria della finalitа и, secondo N., quella
fondamentale. Lo si evince dal medesimo passo, dove si dice che
"La finalitа
nella ragione и un effetto, non una causa".
Ciт che egli
vuole sottolineare con questa frase, и che tale categoria scaturisce
dall'essenza inventiva della ragione, per questo и prima di tutto un effetto e
non una causa, diversamente da quanto pensa la tradizione metafisica. Tuttavia
ha un carattere di orizzonte tale da dare indicazioni per la produzione di
altre cose, quindi и anche causa. Il ruolo privilegiato che N. assegna alla
finalitа deriva dall'identificazione dell'essenza della ragione con l'atto del
vivere che mira alla stabilitа. Se infatti la ragione evadesse nel senza scopo
rinunciando ad escogitare l'uguale, sarebbe sopraffatta dall'impeto del caos.
L'interpretazione
"biologica" del conoscere in Nietzsche
Non si puт a
questo punto non rilevare il carattere biologico di questa concezione, che
identifica le categorie e l'articolazione logica del pensiero nelle condizioni
della vita. Nell'ultimo capoverso del brano n. 515, N. esprime tale carattere
in termini inequivocabili:
"La
costrizione soggettiva a non poter qui contraddire и una costrizione
biologica".
Qui N. fa
riferimento al principio di non contraddizione, ossia alla legge fondamentale
della ragione, interpretato come una costrizione "biologica" per
padroneggiare il caos imponendo ad esso la forma dell'unitario e dell'
incontraddittorio.
Ma tuttavia,
mentre da un lato questa interpretazione pare comprovare il biologismo di N.,
dall'altro, eleva il suo pensiero alle altezze del pensiero metafisico e della
domanda guida che lo muove. Il principio d non contraddizione, infatti, и il
supremo principio del pensiero, enunciato e discusso a fondo per la prima volta
da Aristotele.
Aristotele, nel
quarto libro della Metafisica, ne ha dato la seguente definizione: "Che
infatti lo stesso contemporaneamente sia presente e non sia presente, questo и
impossibile (adynatov) nella stessa cosa e riguardo alla stessa cosa".
In questo
principio viene enunciata una impossibilitа: il contemporaneo essere e non
essere presente. Ma la presenza, secondo i pensatori greci, и l'essenza
dell'essere. Dunque si tratta di una impossibilitа propria dell'essere.
Anche N. vede
l'elemento decisivo del principio di non contraddizione in un adynatov, ma lo
intende nel senso di una "incapacitа":
"Noi non
riusciamo ad affermare e a negare la stessa e identica cosa: и questo un
principio di esperienza soggettivo, in esso non si esprime una
"necessitа", ma solo una incapacitа". (Primo capoverso del brano
n. 516).
N. non intende il
principio di non contraddizione in termini metafisici, ossia come un principio
che stabilisca qualcosa in merito all'essere, ma in termini logici, come una
regola del pensiero. Di conseguenza, egli vede una impossibilitа soggettiva,
non oggettiva (una "necessitа"), una incapacitа dell'uomo a non poter
fissare una cosa e il suo contrario; si potrebbe quasi dire che egli interpreta
il principio in termini biologici. Tuttavia, in questa discussione emerge
qualcosa che impedisce qualsiasi interpretazione biologica. (Il fatto che la
discussione di questo principio ritorni nel compimento della metafisica
occidentale и il segno della sua importanza; il compimnto stesso si
contraddistingue per come la discussione viene attuata).
N. non и certo
l'unico filosofo che interpreta questo principio in senso esclusivamente
logico; tale modo di intenderlo si era giа diffuso ai tempi di Aristotele. Dobbiamo
quindi chiederci che cosa esso propriamente ponga fin dall'inizio e in modo
tale che in seguito possa essere un principio-regola per il pensiero.
Il principio di
non contraddizione come principio dell'essere (Aristotele)
Per Aristotele,
il principio dice qualcosa di decisivo sull'ente in quanto tale, e precisamente
che esso ha la sua essenza nella presenza e nella stabilitа. Anche i riguardi
secondo i quali un ente deve essere rappresentato devono tenerne conto. L'uomo
che, mantendosi in una contraddizione, ignora ciт, scioglie il riferimento
all'ente e fuoriesce dalla sua essenza.
Aristotele
pensava in modo greco: l'essere era scorto direttamente nella sua presenza, non
c'era bisogno di interrogarsi sui presupposti del principio di non contraddizione,
poichи esso era concepito giа come la pre-supposizione (Voraus-ansetzung)
dell'essenza dell'ente.
N., benchи si sia
avvicinato come nessun altro al modo di pensare della grecitа, pensa in modo
moderno; ciт lo porta a misconoscere il fondamento storico dell'interpretazione
del principio di non contraddizione. Per questo il confronto con il primo
inizio del pensiero occidentale diviene un mero rovesciamento del pensiero
greco e non arriva ad una posizione che fuoriesca da quella iniziale.
Il principio di
non contraddizione come comando (Nietzsche)
N., intendendo
questo principio in termini logici, non chiede che cosa venga detto sull'ente,
ma se sia possibile una posizione tale che stabilisca che cosa и l'ente nella
sua essenza, il modo in cui questo principio и un tenere-per-vero. Si legga il
capoverso decisivo del brano n. 516:
"In breve,
la questione rimane aperta: gli assiomi logici sono adeguati al reale o sono
criteri e mezzi per creare il reale, il concetto di "realtа" per
noi?... Per poter affermare la prima cosa, occorerebbe perт, come si и detto,
conoscere giа l'ente; il che assolutamente non и. Il principio non contiene
quindi un criterio di veritа, ma un imperativo circa ciт che deve valere come
vero".
Il principio, per
N., non и una commisurazione ad una realtа in qualche modo coglibile, ma
soltanto dа l'indicazione di che cosa debba valere come essente: esprime un
dover essere, un imperativo. D'altra parte, questa interpretazione di N. и in
consonanza con la sua concezione della veritа come tenere-per-vero, anzi, ci
conduce nella sua essenza piщ intima. Il tenere-per-vero ha infatti bisogno di
un parametro; la discussione sul principio di non contraddizione ci dice ora
che tale parametro и un imperativo, un comando. Ora, se l'essenza della
conoscenza ha il carattere del comando, e la conoscenza, in quanto
assicurazione della sussistenza и una disposizione necessaria della vita,
allora la vita in sи ha il tratto essenziale del comandare.
L'assicurazione
della sussistenza, quindi, si attua in una decisione in merito a cosa debba
valere come essente; tale decisione и l'atto fondamentale che traspone l'essere
vivente "uomo" nella traiettoria di una prospettiva sull'ente e ve lo
mantiene.
Da quanto detto
finora si possono mettere in rilievo quattro punti che ci avvicinano all'
essenza della conoscenza e della veritа in N.:
1) E' ora piщ
chiaro in che senso la conoscenza и per N. necessaria alla vita. Essa non и
imposta al vivente dal di fuori, come un utile o un successo, ma и una
necessitа interna al conoscere stesso, che consiste appunto in un comando;
2) Come si
concilia il carattere di comando insito nel conoscere con il carattere
inventivo della conoscenza? In realtа, l'autentico comandare scaturisce da una libertа,
и una forma fondamentale dell' essere libero; e la libertа in sи и inventare:
ossia fondare senza fondamenti un fondamento;
3) Quando N.
parla, a proposito del principio di non contraddizione (brano n. 516), di un
"non poter contraddire" come una "incapacitа" e non come
una "veritа", usa il termine "incapacitа" in modo equivoco,
in quanto suggerisce l'idea di un non-potere nel senso di un venir meno di un
comportamento, mentre и inteso un non-potere-non, un necessario comportarsi.
(Tale equivocitа nasce dal voler contrapporre "veritа" ad
"incapacitа", al fine di sottolineare il carattere di comando e di
invenzione - e non di riproduzione della realtа - proprio del principio di non
contraddizione);
4) La necessitа
(il non-potere-non del comandare e dell'inventare) scaturisce dalla libertа. Il
principio di non contraddizione и un imperativo fondato dalla libertа. A questo
punto si chiarisce anche la questione del presunto biologismo di N.: infatti
l'essenza di questo principio non и determinata dal piano biologico. Anzi, lo
stesso biologico ha per N. il carattere di comando e di invenzione, di
prospettiva e di orizzonte; и pensato in direzione della libertа.
La veritа e la
differenza di "mondo vero" e "mondo apparente"
Per un certo
periodo, la posizione metafisica di N. и assicurata mediante la
contrapposizione gerarchica di veritа e arte, che consiste in un platonismo
rovesciato. La veritа, in quanto fissa ciт che diviene, si mantiene nel mondo
apparente; l'arte, come trasfigurazione del vivente in possibilitа piщ elevate,
lascia libero il diveniente di divenire, e si muove cosм nel mondo
"vero". Tale posizione, tuttavia, non и definitiva; l'ultima
speculazione di N. sulla veritа compie un passo estremo e raggiunge la sua
ultima essenza possibile.
Innanzitutto, va
rilevato che nella posizione suaccennata vi и una duplice ambiguitа, che
riguarda sia la veritа che l'arte. Il vero, come si и visto, in quanto и ciт
che fissa si esclude dall'autentica realtа, dunque и errore ("La veritа и
la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi non
potrebbe vivere", scrive N. nel brano n. 493 della Volontа di potenza). Ma
in questa definizione, la veritа и pensata due volte, e in modo diverso: una
volta come fissazione, e l'altra come accordo con la realtа. Solo se pensiamo
la veritа come accordo, infatti, la veritа come stabilitа puт essere definita
un errore. N. dunque non rifiuta la tradizionale concezione della veritа come
accordo e adeguazione; essa rimane piuttosto il metro per valutare il rapporto
con l'arte, che proprio sul fondamento di tale accordo и concepita come un
valore superiore.
Ma qui, a
proposito dell'arte, N. non parla di "veritа", ma di
"parvenza", poichи anch'essa, avendo forma, и qualcosa di fissato. A
questo punto, tutte le "veritа" sono soltanto specie e gradi di
"errori". Se non c'и veritа, non c'и "mondo vero", tutto
non diventa quindi "mondo apparente", "parvenza"?
No, perchи se
vengono a mancare la misurazione e la stima rispetto a qualcosa di vero, non si
puт piщ parlare di parvenza. Con ciт, и compiuto il passo decisivo verso una
posizione di fondo estrema. Ma che cosa rimane se con il mondo vero viene
abolito anche il mondo apparente? Non pare che tutto si dissolva nel nulla? La
proposizione conclusiva dell'annotazione n. 567, afferma: "L'antitesi fra
mondo apparente e mondo vero si riduce all'antitesi fra "mondo" e
"nulla"".
L'estremo
mutamento della veritа concepita in termini metafisici
In realtа, veritа
e parvenza, conoscenza e arte, non possono scomparire con l'abolizione del
mondo vero e del mondo apparente, poichи sono valori necessari, che
appartengono al patrimonio essenziale della vita. E' invece mutata l'essenza
della veritа, che si colloca all'estremo del pensiero metafisico. Nel brano n.
749, N. parla di "incantesimo", di "magia dell'estremo":
"L'incantesimo
che combatte per noi, l'occhio di Venere che irretisce e acceca i nostri
avversari, и la magia dell'estremo, la seduzione che viene esercitata da ogni
cosa estrema: noi immoralisti siamo gli estremi..."
Il termine
"immoralista" rinvia ad un concetto metafisico: "morale" и
ogni metafisica, in quanto fondata sulla distinzione del mondo soprasensibile
dal mondo sensibile. Definirsi "immoralista" da parte di N.,
significa essere al di fuori della distinzione che regge la metafisica,
significa andare a quell'estremo dove non possono essere piщ ricavati da un
mondo vero, i fini e i parametri per un mondo non vero e imperfetto. Ma che ne
и della veritа, dopo l'abolizione di tale distinzione?
Nel Crepuscolo
degli idoli, N. dа la seguente risposta:
"6. Il mondo
vero lo abbiamo abolito: quale mondo и rimasto? forse quello apparente?... Ma
no! con il mondo vero abbiamo abolito anche quello apparente!
(Meriggio; attimo
dell'ombra piщ corta; fine del'errore piщ lungo; apogeo dell'umanitа; INCIPIT
ZARATHUSTRA)"
L'indicazione di
N. и: incipit Zarathustra. Zarathustra и l'eroe che tramonta, и l'estremo nella
storia della metafisica. Di nuovo, domandiamoci come pensa N. nel tramonto -
ossia nel compimeto della metafisica - l'essenza della veritа.
Nel prosieguo
della annotazione n. 515, N. inserisce la seguente osservazione:
"(L'adattare,
l'escogitare il simile, l'uguale, - lo stesso processo che ogni impressione
sensoriale percorre, и lo sviluppo della ragione!)"
Questo passo,
lungi dall'essere incidentale perchи messo tra parentesi, fa emergere una concezione
essenziale della ragione, concepita come adattare, escogitare (Ausdichten)
l'uguale al fine di stabilizzare e quindi di assicurare la sussistenza. Per
pensare e determinare una cosa nel suo apparire, la ragione (il cui
"sviluppo" non va inteso in senso biologico ma metafisico, nel senso
di spiegamento dell'essenza) pone anticipatamente la sua identicitа.
Quest'ultima, pertanto, non и qualcosa che viene constatata a posteriori in
seguito a ripetute osservazioni, ma che preesiste ad esse, che и stata
"inventata". Il carattere di cosa, nella sua siffatta
"cositа" - determinata dalla qualitа, la relazione, la causa, ossia
dalle cosiddette categorie - и di origine inventata, quindi piщ elevata
rispetto al nostro fare immediato.
Tale carattere inventivo
della ragione non и una scoperta di N., ma и stato visto e pensato a fondo per
la prima volta da Kant nella sua dottrina della immaginazione produttiva e poi
ripreso dall'idealismo tedesco. Ma lo stesso Platone, quando nel Fedro narra
della caduta dell'idea dall'iperuranio nell'anima dell'uomo, esprime, con
questo mito, l'interpretazione greca del medesimo concetto, cioи dell'essenza
inventiva della ragione, della sua origine piщ elevata.
Nel passo citato,
N. afferma anche che ogni impressione sensoriale percorre il processo di
escogitazione che mira all'uguale; questo significa che non solo le categorie
della ragione sono orizzonti dell'escogitazione, ma giа le stesse impressioni
sensibili, che costituiscono la "ressa" delle sensazioni, sono una molteplicitа
escogitata. Fra le categorie, la categoria della finalitа и, secondo N., quella
fondamentale. Lo si evince dal medesimo passo, dove si dice che
"La finalitа
nella ragione и un effetto, non una causa".
Ciт che egli
vuole sottolineare con questa frase, и che tale categoria scaturisce
dall'essenza inventiva della ragione, per questo и prima di tutto un effetto e
non una causa, diversamente da quanto pensa la tradizione metafisica. Tuttavia
ha un carattere di orizzonte tale da dare indicazioni per la produzione di
altre cose, quindi и anche causa. Il ruolo privilegiato che N. assegna alla
finalitа deriva dall'identificazione dell'essenza della ragione con l'atto del
vivere che mira alla stabilitа. Se infatti la ragione evadesse nel senza scopo
rinunciando ad escogitare l'uguale, sarebbe sopraffatta dall'impeto del caos.
L'interpretazione
"biologica" del conoscere in Nietzsche
Non si puт a
questo punto non rilevare il carattere biologico di questa concezione, che
identifica le categorie e l'articolazione logica del pensiero nelle condizioni
della vita. Nell'ultimo capoverso del brano n. 515, N. esprime tale carattere
in termini inequivocabili:
"La
costrizione soggettiva a non poter qui contraddire и una costrizione
biologica".
Qui N. fa
riferimento al principio di non contraddizione, ossia alla legge fondamentale
della ragione, interpretato come una costrizione "biologica" per
padroneggiare il caos imponendo ad esso la forma dell'unitario e dell'
incontraddittorio.
Ma tuttavia,
mentre da un lato questa interpretazione pare comprovare il biologismo di N.,
dall'altro, eleva il suo pensiero alle altezze del pensiero metafisico e della
domanda guida che lo muove. Il principio d non contraddizione, infatti, и il
supremo principio del pensiero, enunciato e discusso a fondo per la prima volta
da Aristotele.
Aristotele, nel
quarto libro della Metafisica, ne ha dato la seguente definizione: "Che
infatti lo stesso contemporaneamente sia presente e non sia presente, questo и
impossibile (adynatov) nella stessa cosa e riguardo alla stessa cosa".
In questo
principio viene enunciata una impossibilitа: il contemporaneo essere e non
essere presente. Ma la presenza, secondo i pensatori greci, и l'essenza
dell'essere. Dunque si tratta di una impossibilitа propria dell'essere.
Anche N. vede
l'elemento decisivo del principio di non contraddizione in un adynatov, ma lo
intende nel senso di una "incapacitа":
"Noi non
riusciamo ad affermare e a negare la stessa e identica cosa: и questo un
principio di esperienza soggettivo, in esso non si esprime una
"necessitа", ma solo una incapacitа". (Primo capoverso del brano
n. 516).
N. non intende il
principio di non contraddizione in termini metafisici, ossia come un principio
che stabilisca qualcosa in merito all'essere, ma in termini logici, come una
regola del pensiero. Di conseguenza, egli vede una impossibilitа soggettiva,
non oggettiva (una "necessitа"), una incapacitа dell'uomo a non poter
fissare una cosa e il suo contrario; si potrebbe quasi dire che egli interpreta
il principio in termini biologici. Tuttavia, in questa discussione emerge
qualcosa che impedisce qualsiasi interpretazione biologica. (Il fatto che la
discussione di questo principio ritorni nel compimento della metafisica
occidentale и il segno della sua importanza; il compimnto stesso si
contraddistingue per come la discussione viene attuata).
N. non и certo
l'unico filosofo che interpreta questo principio in senso esclusivamente
logico; tale modo di intenderlo si era giа diffuso ai tempi di Aristotele. Dobbiamo
quindi chiederci che cosa esso propriamente ponga fin dall'inizio e in modo
tale che in seguito possa essere un principio-regola per il pensiero.
Il principio di
non contraddizione come principio dell'essere (Aristotele)
Per Aristotele,
il principio dice qualcosa di decisivo sull'ente in quanto tale, e precisamente
che esso ha la sua essenza nella presenza e nella stabilitа. Anche i riguardi
secondo i quali un ente deve essere rappresentato devono tenerne conto. L'uomo
che, mantendosi in una contraddizione, ignora ciт, scioglie il riferimento
all'ente e fuoriesce dalla sua essenza.
Aristotele
pensava in modo greco: l'essere era scorto direttamente nella sua presenza, non
c'era bisogno di interrogarsi sui presupposti del principio di non contraddizione,
poichи esso era concepito giа come la pre-supposizione (Voraus-ansetzung)
dell'essenza dell'ente.
N., benchи si sia
avvicinato come nessun altro al modo di pensare della grecitа, pensa in modo
moderno; ciт lo porta a misconoscere il fondamento storico dell'interpretazione
del principio di non contraddizione. Per questo il confronto con il primo
inizio del pensiero occidentale diviene un mero rovesciamento del pensiero
greco e non arriva ad una posizione che fuoriesca da quella iniziale.
Il principio di
non contraddizione come comando (Nietzsche)
N., intendendo
questo principio in termini logici, non chiede che cosa venga detto sull'ente,
ma se sia possibile una posizione tale che stabilisca che cosa и l'ente nella
sua essenza, il modo in cui questo principio и un tenere-per-vero. Si legga il
capoverso decisivo del brano n. 516:
"In breve,
la questione rimane aperta: gli assiomi logici sono adeguati al reale o sono
criteri e mezzi per creare il reale, il concetto di "realtа" per
noi?... Per poter affermare la prima cosa, occorerebbe perт, come si и detto,
conoscere giа l'ente; il che assolutamente non и. Il principio non contiene
quindi un criterio di veritа, ma un imperativo circa ciт che deve valere come
vero".
Il principio, per
N., non и una commisurazione ad una realtа in qualche modo coglibile, ma
soltanto dа l'indicazione di che cosa debba valere come essente: esprime un
dover essere, un imperativo. D'altra parte, questa interpretazione di N. и in
consonanza con la sua concezione della veritа come tenere-per-vero, anzi, ci
conduce nella sua essenza piщ intima. Il tenere-per-vero ha infatti bisogno di
un parametro; la discussione sul principio di non contraddizione ci dice ora
che tale parametro и un imperativo, un comando. Ora, se l'essenza della
conoscenza ha il carattere del comando, e la conoscenza, in quanto
assicurazione della sussistenza и una disposizione necessaria della vita,
allora la vita in sи ha il tratto essenziale del comandare.
L'assicurazione
della sussistenza, quindi, si attua in una decisione in merito a cosa debba
valere come essente; tale decisione и l'atto fondamentale che traspone l'essere
vivente "uomo" nella traiettoria di una prospettiva sull'ente e ve lo
mantiene.
Da quanto detto
finora si possono mettere in rilievo quattro punti che ci avvicinano all'
essenza della conoscenza e della veritа in N.:
1) E' ora piщ
chiaro in che senso la conoscenza и per N. necessaria alla vita. Essa non и
imposta al vivente dal di fuori, come un utile o un successo, ma и una
necessitа interna al conoscere stesso, che consiste appunto in un comando;
2) Come si
concilia il carattere di comando insito nel conoscere con il carattere
inventivo della conoscenza? In realtа, l'autentico comandare scaturisce da una libertа,
и una forma fondamentale dell' essere libero; e la libertа in sи и inventare:
ossia fondare senza fondamenti un fondamento;
3) Quando N.
parla, a proposito del principio di non contraddizione (brano n. 516), di un
"non poter contraddire" come una "incapacitа" e non come
una "veritа", usa il termine "incapacitа" in modo equivoco,
in quanto suggerisce l'idea di un non-potere nel senso di un venir meno di un
comportamento, mentre и inteso un non-potere-non, un necessario comportarsi.
(Tale equivocitа nasce dal voler contrapporre "veritа" ad
"incapacitа", al fine di sottolineare il carattere di comando e di
invenzione - e non di riproduzione della realtа - proprio del principio di non
contraddizione);
4) La necessitа
(il non-potere-non del comandare e dell'inventare) scaturisce dalla libertа. Il
principio di non contraddizione и un imperativo fondato dalla libertа. A questo
punto si chiarisce anche la questione del presunto biologismo di N.: infatti
l'essenza di questo principio non и determinata dal piano biologico. Anzi, lo
stesso biologico ha per N. il carattere di comando e di invenzione, di
prospettiva e di orizzonte; и pensato in direzione della libertа.
La veritа e la
differenza di "mondo vero" e "mondo apparente"
Per un certo
periodo, la posizione metafisica di N. и assicurata mediante la
contrapposizione gerarchica di veritа e arte, che consiste in un platonismo
rovesciato. La veritа, in quanto fissa ciт che diviene, si mantiene nel mondo
apparente; l'arte, come trasfigurazione del vivente in possibilitа piщ elevate,
lascia libero il diveniente di divenire, e si muove cosм nel mondo
"vero". Tale posizione, tuttavia, non и definitiva; l'ultima
speculazione di N. sulla veritа compie un passo estremo e raggiunge la sua
ultima essenza possibile.
Innanzitutto, va
rilevato che nella posizione suaccennata vi и una duplice ambiguitа, che
riguarda sia la veritа che l'arte. Il vero, come si и visto, in quanto и ciт
che fissa si esclude dall'autentica realtа, dunque и errore ("La veritа и
la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi non
potrebbe vivere", scrive N. nel brano n. 493 della Volontа di potenza). Ma
in questa definizione, la veritа и pensata due volte, e in modo diverso: una
volta come fissazione, e l'altra come accordo con la realtа. Solo se pensiamo
la veritа come accordo, infatti, la veritа come stabilitа puт essere definita
un errore. N. dunque non rifiuta la tradizionale concezione della veritа come
accordo e adeguazione; essa rimane piuttosto il metro per valutare il rapporto
con l'arte, che proprio sul fondamento di tale accordo и concepita come un
valore superiore.
Ma qui, a
proposito dell'arte, N. non parla di "veritа", ma di
"parvenza", poichи anch'essa, avendo forma, и qualcosa di fissato. A
questo punto, tutte le "veritа" sono soltanto specie e gradi di
"errori". Se non c'и veritа, non c'и "mondo vero", tutto
non diventa quindi "mondo apparente", "parvenza"?
No, perchи se
vengono a mancare la misurazione e la stima rispetto a qualcosa di vero, non si
puт piщ parlare di parvenza. Con ciт, и compiuto il passo decisivo verso una
posizione di fondo estrema. Ma che cosa rimane se con il mondo vero viene
abolito anche il mondo apparente? Non pare che tutto si dissolva nel nulla? La
proposizione conclusiva dell'annotazione n. 567, afferma: "L'antitesi fra
mondo apparente e mondo vero si riduce all'antitesi fra "mondo" e
"nulla"".
L'estremo
mutamento della veritа concepita in termini metafisici
In realtа, veritа
e parvenza, conoscenza e arte, non possono scomparire con l'abolizione del
mondo vero e del mondo apparente, poichи sono valori necessari, che
appartengono al patrimonio essenziale della vita. E' invece mutata l'essenza
della veritа, che si colloca all'estremo del pensiero metafisico. Nel brano n.
749, N. parla di "incantesimo", di "magia dell'estremo":
"L'incantesimo
che combatte per noi, l'occhio di Venere che irretisce e acceca i nostri
avversari, и la magia dell'estremo, la seduzione che viene esercitata da ogni
cosa estrema: noi immoralisti siamo gli estremi..."
Il termine
"immoralista" rinvia ad un concetto metafisico: "morale" и
ogni metafisica, in quanto fondata sulla distinzione del mondo soprasensibile
dal mondo sensibile. Definirsi "immoralista" da parte di N.,
significa essere al di fuori della distinzione che regge la metafisica,
significa andare a quell'estremo dove non possono essere piщ ricavati da un
mondo vero, i fini e i parametri per un mondo non vero e imperfetto. Ma che ne
и della veritа, dopo l'abolizione di tale distinzione?
Nel Crepuscolo
degli idoli, N. dа la seguente risposta:
"6. Il mondo
vero lo abbiamo abolito: quale mondo и rimasto? forse quello apparente?... Ma
no! con il mondo vero abbiamo abolito anche quello apparente!
(Meriggio; attimo
dell'ombra piщ corta; fine del'errore piщ lungo; apogeo dell'umanitа; INCIPIT
ZARATHUSTRA)"
L'indicazione di
N. и: incipit Zarathustra. Zarathustra и l'eroe che tramonta, и l'estremo nella
storia della metafisica. Di nuovo, domandiamoci come pensa N. nel tramonto -
ossia nel compimeto della metafisica - l'essenza della veritа.