L'essenza inventiva della ragione

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Nel prosieguo della annotazione n. 515, N. inserisce la seguente osservazione:

"(L'adattare, l'escogitare il simile, l'uguale, - lo stesso processo che ogni impressione sensoriale percorre, и lo sviluppo della ragione!)"

Questo passo, lungi dall'essere incidentale perchи messo tra parentesi, fa emergere una concezione essenziale della ragione, concepita come adattare, escogitare (Ausdichten) l'uguale al fine di stabilizzare e quindi di assicurare la sussistenza. Per pensare e determinare una cosa nel suo apparire, la ragione (il cui "sviluppo" non va inteso in senso biologico ma metafisico, nel senso di spiegamento dell'essenza) pone anticipatamente la sua identicitа. Quest'ultima, pertanto, non и qualcosa che viene constatata a posteriori in seguito a ripetute osservazioni, ma che preesiste ad esse, che и stata "inventata". Il carattere di cosa, nella sua siffatta "cositа" - determinata dalla qualitа, la relazione, la causa, ossia dalle cosiddette categorie - и di origine inventata, quindi piщ elevata rispetto al nostro fare immediato.

Tale carattere inventivo della ragione non и una scoperta di N., ma и stato visto e pensato a fondo per la prima volta da Kant nella sua dottrina della immaginazione produttiva e poi ripreso dall'idealismo tedesco. Ma lo stesso Platone, quando nel Fedro narra della caduta dell'idea dall'iperuranio nell'anima dell'uomo, esprime, con questo mito, l'interpretazione greca del medesimo concetto, cioи dell'essenza inventiva della ragione, della sua origine piщ elevata.

Nel passo citato, N. afferma anche che ogni impressione sensoriale percorre il processo di escogitazione che mira all'uguale; questo significa che non solo le categorie della ragione sono orizzonti dell'escogitazione, ma giа le stesse impressioni sensibili, che costituiscono la "ressa" delle sensazioni, sono una molteplicitа escogitata. Fra le categorie, la categoria della finalitа и, secondo N., quella fondamentale. Lo si evince dal medesimo passo, dove si dice che

"La finalitа nella ragione и un effetto, non una causa".

Ciт che egli vuole sottolineare con questa frase, и che tale categoria scaturisce dall'essenza inventiva della ragione, per questo и prima di tutto un effetto e non una causa, diversamente da quanto pensa la tradizione metafisica. Tuttavia ha un carattere di orizzonte tale da dare indicazioni per la produzione di altre cose, quindi и anche causa. Il ruolo privilegiato che N. assegna alla finalitа deriva dall'identificazione dell'essenza della ragione con l'atto del vivere che mira alla stabilitа. Se infatti la ragione evadesse nel senza scopo rinunciando ad escogitare l'uguale, sarebbe sopraffatta dall'impeto del caos.

L'interpretazione "biologica" del conoscere in Nietzsche

Non si puт a questo punto non rilevare il carattere biologico di questa concezione, che identifica le categorie e l'articolazione logica del pensiero nelle condizioni della vita. Nell'ultimo capoverso del brano n. 515, N. esprime tale carattere in termini inequivocabili:

"La costrizione soggettiva a non poter qui contraddire и una costrizione biologica".

Qui N. fa riferimento al principio di non contraddizione, ossia alla legge fondamentale della ragione, interpretato come una costrizione "biologica" per padroneggiare il caos imponendo ad esso la forma dell'unitario e dell' incontraddittorio.

Ma tuttavia, mentre da un lato questa interpretazione pare comprovare il biologismo di N., dall'altro, eleva il suo pensiero alle altezze del pensiero metafisico e della domanda guida che lo muove. Il principio d non contraddizione, infatti, и il supremo principio del pensiero, enunciato e discusso a fondo per la prima volta da Aristotele.

Aristotele, nel quarto libro della Metafisica, ne ha dato la seguente definizione: "Che infatti lo stesso contemporaneamente sia presente e non sia presente, questo и impossibile (adynatov) nella stessa cosa e riguardo alla stessa cosa".

In questo principio viene enunciata una impossibilitа: il contemporaneo essere e non essere presente. Ma la presenza, secondo i pensatori greci, и l'essenza dell'essere. Dunque si tratta di una impossibilitа propria dell'essere.

Anche N. vede l'elemento decisivo del principio di non contraddizione in un adynatov, ma lo intende nel senso di una "incapacitа":

"Noi non riusciamo ad affermare e a negare la stessa e identica cosa: и questo un principio di esperienza soggettivo, in esso non si esprime una "necessitа", ma solo una incapacitа". (Primo capoverso del brano n. 516).

N. non intende il principio di non contraddizione in termini metafisici, ossia come un principio che stabilisca qualcosa in merito all'essere, ma in termini logici, come una regola del pensiero. Di conseguenza, egli vede una impossibilitа soggettiva, non oggettiva (una "necessitа"), una incapacitа dell'uomo a non poter fissare una cosa e il suo contrario; si potrebbe quasi dire che egli interpreta il principio in termini biologici. Tuttavia, in questa discussione emerge qualcosa che impedisce qualsiasi interpretazione biologica. (Il fatto che la discussione di questo principio ritorni nel compimento della metafisica occidentale и il segno della sua importanza; il compimnto stesso si contraddistingue per come la discussione viene attuata).

N. non и certo l'unico filosofo che interpreta questo principio in senso esclusivamente logico; tale modo di intenderlo si era giа diffuso ai tempi di Aristotele. Dobbiamo quindi chiederci che cosa esso propriamente ponga fin dall'inizio e in modo tale che in seguito possa essere un principio-regola per il pensiero.

 

Il principio di non contraddizione come principio dell'essere (Aristotele)

Per Aristotele, il principio dice qualcosa di decisivo sull'ente in quanto tale, e precisamente che esso ha la sua essenza nella presenza e nella stabilitа. Anche i riguardi secondo i quali un ente deve essere rappresentato devono tenerne conto. L'uomo che, mantendosi in una contraddizione, ignora ciт, scioglie il riferimento all'ente e fuoriesce dalla sua essenza.

Aristotele pensava in modo greco: l'essere era scorto direttamente nella sua presenza, non c'era bisogno di interrogarsi sui presupposti del principio di non contraddizione, poichи esso era concepito giа come la pre-supposizione (Voraus-ansetzung) dell'essenza dell'ente.

N., benchи si sia avvicinato come nessun altro al modo di pensare della grecitа, pensa in modo moderno; ciт lo porta a misconoscere il fondamento storico dell'interpretazione del principio di non contraddizione. Per questo il confronto con il primo inizio del pensiero occidentale diviene un mero rovesciamento del pensiero greco e non arriva ad una posizione che fuoriesca da quella iniziale.

 

Il principio di non contraddizione come comando (Nietzsche)

N., intendendo questo principio in termini logici, non chiede che cosa venga detto sull'ente, ma se sia possibile una posizione tale che stabilisca che cosa и l'ente nella sua essenza, il modo in cui questo principio и un tenere-per-vero. Si legga il capoverso decisivo del brano n. 516:

"In breve, la questione rimane aperta: gli assiomi logici sono adeguati al reale o sono criteri e mezzi per creare il reale, il concetto di "realtа" per noi?... Per poter affermare la prima cosa, occorerebbe perт, come si и detto, conoscere giа l'ente; il che assolutamente non и. Il principio non contiene quindi un criterio di veritа, ma un imperativo circa ciт che deve valere come vero".

Il principio, per N., non и una commisurazione ad una realtа in qualche modo coglibile, ma soltanto dа l'indicazione di che cosa debba valere come essente: esprime un dover essere, un imperativo. D'altra parte, questa interpretazione di N. и in consonanza con la sua concezione della veritа come tenere-per-vero, anzi, ci conduce nella sua essenza piщ intima. Il tenere-per-vero ha infatti bisogno di un parametro; la discussione sul principio di non contraddizione ci dice ora che tale parametro и un imperativo, un comando. Ora, se l'essenza della conoscenza ha il carattere del comando, e la conoscenza, in quanto assicurazione della sussistenza и una disposizione necessaria della vita, allora la vita in sи ha il tratto essenziale del comandare.

L'assicurazione della sussistenza, quindi, si attua in una decisione in merito a cosa debba valere come essente; tale decisione и l'atto fondamentale che traspone l'essere vivente "uomo" nella traiettoria di una prospettiva sull'ente e ve lo mantiene.

Da quanto detto finora si possono mettere in rilievo quattro punti che ci avvicinano all' essenza della conoscenza e della veritа in N.:

1) E' ora piщ chiaro in che senso la conoscenza и per N. necessaria alla vita. Essa non и imposta al vivente dal di fuori, come un utile o un successo, ma и una necessitа interna al conoscere stesso, che consiste appunto in un comando;

2) Come si concilia il carattere di comando insito nel conoscere con il carattere inventivo della conoscenza? In realtа, l'autentico comandare scaturisce da una libertа, и una forma fondamentale dell' essere libero; e la libertа in sи и inventare: ossia fondare senza fondamenti un fondamento;

3) Quando N. parla, a proposito del principio di non contraddizione (brano n. 516), di un "non poter contraddire" come una "incapacitа" e non come una "veritа", usa il termine "incapacitа" in modo equivoco, in quanto suggerisce l'idea di un non-potere nel senso di un venir meno di un comportamento, mentre и inteso un non-potere-non, un necessario comportarsi. (Tale equivocitа nasce dal voler contrapporre "veritа" ad "incapacitа", al fine di sottolineare il carattere di comando e di invenzione - e non di riproduzione della realtа - proprio del principio di non contraddizione);

4) La necessitа (il non-potere-non del comandare e dell'inventare) scaturisce dalla libertа. Il principio di non contraddizione и un imperativo fondato dalla libertа. A questo punto si chiarisce anche la questione del presunto biologismo di N.: infatti l'essenza di questo principio non и determinata dal piano biologico. Anzi, lo stesso biologico ha per N. il carattere di comando e di invenzione, di prospettiva e di orizzonte; и pensato in direzione della libertа.

 

La veritа e la differenza di "mondo vero" e "mondo apparente"

Per un certo periodo, la posizione metafisica di N. и assicurata mediante la contrapposizione gerarchica di veritа e arte, che consiste in un platonismo rovesciato. La veritа, in quanto fissa ciт che diviene, si mantiene nel mondo apparente; l'arte, come trasfigurazione del vivente in possibilitа piщ elevate, lascia libero il diveniente di divenire, e si muove cosм nel mondo "vero". Tale posizione, tuttavia, non и definitiva; l'ultima speculazione di N. sulla veritа compie un passo estremo e raggiunge la sua ultima essenza possibile.

Innanzitutto, va rilevato che nella posizione suaccennata vi и una duplice ambiguitа, che riguarda sia la veritа che l'arte. Il vero, come si и visto, in quanto и ciт che fissa si esclude dall'autentica realtа, dunque и errore ("La veritа и la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi non potrebbe vivere", scrive N. nel brano n. 493 della Volontа di potenza). Ma in questa definizione, la veritа и pensata due volte, e in modo diverso: una volta come fissazione, e l'altra come accordo con la realtа. Solo se pensiamo la veritа come accordo, infatti, la veritа come stabilitа puт essere definita un errore. N. dunque non rifiuta la tradizionale concezione della veritа come accordo e adeguazione; essa rimane piuttosto il metro per valutare il rapporto con l'arte, che proprio sul fondamento di tale accordo и concepita come un valore superiore.

Ma qui, a proposito dell'arte, N. non parla di "veritа", ma di "parvenza", poichи anch'essa, avendo forma, и qualcosa di fissato. A questo punto, tutte le "veritа" sono soltanto specie e gradi di "errori". Se non c'и veritа, non c'и "mondo vero", tutto non diventa quindi "mondo apparente", "parvenza"?

No, perchи se vengono a mancare la misurazione e la stima rispetto a qualcosa di vero, non si puт piщ parlare di parvenza. Con ciт, и compiuto il passo decisivo verso una posizione di fondo estrema. Ma che cosa rimane se con il mondo vero viene abolito anche il mondo apparente? Non pare che tutto si dissolva nel nulla? La proposizione conclusiva dell'annotazione n. 567, afferma: "L'antitesi fra mondo apparente e mondo vero si riduce all'antitesi fra "mondo" e "nulla"".

 

L'estremo mutamento della veritа concepita in termini metafisici

In realtа, veritа e parvenza, conoscenza e arte, non possono scomparire con l'abolizione del mondo vero e del mondo apparente, poichи sono valori necessari, che appartengono al patrimonio essenziale della vita. E' invece mutata l'essenza della veritа, che si colloca all'estremo del pensiero metafisico. Nel brano n. 749, N. parla di "incantesimo", di "magia dell'estremo":

"L'incantesimo che combatte per noi, l'occhio di Venere che irretisce e acceca i nostri avversari, и la magia dell'estremo, la seduzione che viene esercitata da ogni cosa estrema: noi immoralisti siamo gli estremi..."

Il termine "immoralista" rinvia ad un concetto metafisico: "morale" и ogni metafisica, in quanto fondata sulla distinzione del mondo soprasensibile dal mondo sensibile. Definirsi "immoralista" da parte di N., significa essere al di fuori della distinzione che regge la metafisica, significa andare a quell'estremo dove non possono essere piщ ricavati da un mondo vero, i fini e i parametri per un mondo non vero e imperfetto. Ma che ne и della veritа, dopo l'abolizione di tale distinzione?

Nel Crepuscolo degli idoli, N. dа la seguente risposta:

"6. Il mondo vero lo abbiamo abolito: quale mondo и rimasto? forse quello apparente?... Ma no! con il mondo vero abbiamo abolito anche quello apparente!

(Meriggio; attimo dell'ombra piщ corta; fine del'errore piщ lungo; apogeo dell'umanitа; INCIPIT ZARATHUSTRA)"

L'indicazione di N. и: incipit Zarathustra. Zarathustra и l'eroe che tramonta, и l'estremo nella storia della metafisica. Di nuovo, domandiamoci come pensa N. nel tramonto - ossia nel compimeto della metafisica - l'essenza della veritа.

 

Nel prosieguo della annotazione n. 515, N. inserisce la seguente osservazione:

"(L'adattare, l'escogitare il simile, l'uguale, - lo stesso processo che ogni impressione sensoriale percorre, и lo sviluppo della ragione!)"

Questo passo, lungi dall'essere incidentale perchи messo tra parentesi, fa emergere una concezione essenziale della ragione, concepita come adattare, escogitare (Ausdichten) l'uguale al fine di stabilizzare e quindi di assicurare la sussistenza. Per pensare e determinare una cosa nel suo apparire, la ragione (il cui "sviluppo" non va inteso in senso biologico ma metafisico, nel senso di spiegamento dell'essenza) pone anticipatamente la sua identicitа. Quest'ultima, pertanto, non и qualcosa che viene constatata a posteriori in seguito a ripetute osservazioni, ma che preesiste ad esse, che и stata "inventata". Il carattere di cosa, nella sua siffatta "cositа" - determinata dalla qualitа, la relazione, la causa, ossia dalle cosiddette categorie - и di origine inventata, quindi piщ elevata rispetto al nostro fare immediato.

Tale carattere inventivo della ragione non и una scoperta di N., ma и stato visto e pensato a fondo per la prima volta da Kant nella sua dottrina della immaginazione produttiva e poi ripreso dall'idealismo tedesco. Ma lo stesso Platone, quando nel Fedro narra della caduta dell'idea dall'iperuranio nell'anima dell'uomo, esprime, con questo mito, l'interpretazione greca del medesimo concetto, cioи dell'essenza inventiva della ragione, della sua origine piщ elevata.

Nel passo citato, N. afferma anche che ogni impressione sensoriale percorre il processo di escogitazione che mira all'uguale; questo significa che non solo le categorie della ragione sono orizzonti dell'escogitazione, ma giа le stesse impressioni sensibili, che costituiscono la "ressa" delle sensazioni, sono una molteplicitа escogitata. Fra le categorie, la categoria della finalitа и, secondo N., quella fondamentale. Lo si evince dal medesimo passo, dove si dice che

"La finalitа nella ragione и un effetto, non una causa".

Ciт che egli vuole sottolineare con questa frase, и che tale categoria scaturisce dall'essenza inventiva della ragione, per questo и prima di tutto un effetto e non una causa, diversamente da quanto pensa la tradizione metafisica. Tuttavia ha un carattere di orizzonte tale da dare indicazioni per la produzione di altre cose, quindi и anche causa. Il ruolo privilegiato che N. assegna alla finalitа deriva dall'identificazione dell'essenza della ragione con l'atto del vivere che mira alla stabilitа. Se infatti la ragione evadesse nel senza scopo rinunciando ad escogitare l'uguale, sarebbe sopraffatta dall'impeto del caos.

L'interpretazione "biologica" del conoscere in Nietzsche

Non si puт a questo punto non rilevare il carattere biologico di questa concezione, che identifica le categorie e l'articolazione logica del pensiero nelle condizioni della vita. Nell'ultimo capoverso del brano n. 515, N. esprime tale carattere in termini inequivocabili:

"La costrizione soggettiva a non poter qui contraddire и una costrizione biologica".

Qui N. fa riferimento al principio di non contraddizione, ossia alla legge fondamentale della ragione, interpretato come una costrizione "biologica" per padroneggiare il caos imponendo ad esso la forma dell'unitario e dell' incontraddittorio.

Ma tuttavia, mentre da un lato questa interpretazione pare comprovare il biologismo di N., dall'altro, eleva il suo pensiero alle altezze del pensiero metafisico e della domanda guida che lo muove. Il principio d non contraddizione, infatti, и il supremo principio del pensiero, enunciato e discusso a fondo per la prima volta da Aristotele.

Aristotele, nel quarto libro della Metafisica, ne ha dato la seguente definizione: "Che infatti lo stesso contemporaneamente sia presente e non sia presente, questo и impossibile (adynatov) nella stessa cosa e riguardo alla stessa cosa".

In questo principio viene enunciata una impossibilitа: il contemporaneo essere e non essere presente. Ma la presenza, secondo i pensatori greci, и l'essenza dell'essere. Dunque si tratta di una impossibilitа propria dell'essere.

Anche N. vede l'elemento decisivo del principio di non contraddizione in un adynatov, ma lo intende nel senso di una "incapacitа":

"Noi non riusciamo ad affermare e a negare la stessa e identica cosa: и questo un principio di esperienza soggettivo, in esso non si esprime una "necessitа", ma solo una incapacitа". (Primo capoverso del brano n. 516).

N. non intende il principio di non contraddizione in termini metafisici, ossia come un principio che stabilisca qualcosa in merito all'essere, ma in termini logici, come una regola del pensiero. Di conseguenza, egli vede una impossibilitа soggettiva, non oggettiva (una "necessitа"), una incapacitа dell'uomo a non poter fissare una cosa e il suo contrario; si potrebbe quasi dire che egli interpreta il principio in termini biologici. Tuttavia, in questa discussione emerge qualcosa che impedisce qualsiasi interpretazione biologica. (Il fatto che la discussione di questo principio ritorni nel compimento della metafisica occidentale и il segno della sua importanza; il compimnto stesso si contraddistingue per come la discussione viene attuata).

N. non и certo l'unico filosofo che interpreta questo principio in senso esclusivamente logico; tale modo di intenderlo si era giа diffuso ai tempi di Aristotele. Dobbiamo quindi chiederci che cosa esso propriamente ponga fin dall'inizio e in modo tale che in seguito possa essere un principio-regola per il pensiero.

 

Il principio di non contraddizione come principio dell'essere (Aristotele)

Per Aristotele, il principio dice qualcosa di decisivo sull'ente in quanto tale, e precisamente che esso ha la sua essenza nella presenza e nella stabilitа. Anche i riguardi secondo i quali un ente deve essere rappresentato devono tenerne conto. L'uomo che, mantendosi in una contraddizione, ignora ciт, scioglie il riferimento all'ente e fuoriesce dalla sua essenza.

Aristotele pensava in modo greco: l'essere era scorto direttamente nella sua presenza, non c'era bisogno di interrogarsi sui presupposti del principio di non contraddizione, poichи esso era concepito giа come la pre-supposizione (Voraus-ansetzung) dell'essenza dell'ente.

N., benchи si sia avvicinato come nessun altro al modo di pensare della grecitа, pensa in modo moderno; ciт lo porta a misconoscere il fondamento storico dell'interpretazione del principio di non contraddizione. Per questo il confronto con il primo inizio del pensiero occidentale diviene un mero rovesciamento del pensiero greco e non arriva ad una posizione che fuoriesca da quella iniziale.

 

Il principio di non contraddizione come comando (Nietzsche)

N., intendendo questo principio in termini logici, non chiede che cosa venga detto sull'ente, ma se sia possibile una posizione tale che stabilisca che cosa и l'ente nella sua essenza, il modo in cui questo principio и un tenere-per-vero. Si legga il capoverso decisivo del brano n. 516:

"In breve, la questione rimane aperta: gli assiomi logici sono adeguati al reale o sono criteri e mezzi per creare il reale, il concetto di "realtа" per noi?... Per poter affermare la prima cosa, occorerebbe perт, come si и detto, conoscere giа l'ente; il che assolutamente non и. Il principio non contiene quindi un criterio di veritа, ma un imperativo circa ciт che deve valere come vero".

Il principio, per N., non и una commisurazione ad una realtа in qualche modo coglibile, ma soltanto dа l'indicazione di che cosa debba valere come essente: esprime un dover essere, un imperativo. D'altra parte, questa interpretazione di N. и in consonanza con la sua concezione della veritа come tenere-per-vero, anzi, ci conduce nella sua essenza piщ intima. Il tenere-per-vero ha infatti bisogno di un parametro; la discussione sul principio di non contraddizione ci dice ora che tale parametro и un imperativo, un comando. Ora, se l'essenza della conoscenza ha il carattere del comando, e la conoscenza, in quanto assicurazione della sussistenza и una disposizione necessaria della vita, allora la vita in sи ha il tratto essenziale del comandare.

L'assicurazione della sussistenza, quindi, si attua in una decisione in merito a cosa debba valere come essente; tale decisione и l'atto fondamentale che traspone l'essere vivente "uomo" nella traiettoria di una prospettiva sull'ente e ve lo mantiene.

Da quanto detto finora si possono mettere in rilievo quattro punti che ci avvicinano all' essenza della conoscenza e della veritа in N.:

1) E' ora piщ chiaro in che senso la conoscenza и per N. necessaria alla vita. Essa non и imposta al vivente dal di fuori, come un utile o un successo, ma и una necessitа interna al conoscere stesso, che consiste appunto in un comando;

2) Come si concilia il carattere di comando insito nel conoscere con il carattere inventivo della conoscenza? In realtа, l'autentico comandare scaturisce da una libertа, и una forma fondamentale dell' essere libero; e la libertа in sи и inventare: ossia fondare senza fondamenti un fondamento;

3) Quando N. parla, a proposito del principio di non contraddizione (brano n. 516), di un "non poter contraddire" come una "incapacitа" e non come una "veritа", usa il termine "incapacitа" in modo equivoco, in quanto suggerisce l'idea di un non-potere nel senso di un venir meno di un comportamento, mentre и inteso un non-potere-non, un necessario comportarsi. (Tale equivocitа nasce dal voler contrapporre "veritа" ad "incapacitа", al fine di sottolineare il carattere di comando e di invenzione - e non di riproduzione della realtа - proprio del principio di non contraddizione);

4) La necessitа (il non-potere-non del comandare e dell'inventare) scaturisce dalla libertа. Il principio di non contraddizione и un imperativo fondato dalla libertа. A questo punto si chiarisce anche la questione del presunto biologismo di N.: infatti l'essenza di questo principio non и determinata dal piano biologico. Anzi, lo stesso biologico ha per N. il carattere di comando e di invenzione, di prospettiva e di orizzonte; и pensato in direzione della libertа.

 

La veritа e la differenza di "mondo vero" e "mondo apparente"

Per un certo periodo, la posizione metafisica di N. и assicurata mediante la contrapposizione gerarchica di veritа e arte, che consiste in un platonismo rovesciato. La veritа, in quanto fissa ciт che diviene, si mantiene nel mondo apparente; l'arte, come trasfigurazione del vivente in possibilitа piщ elevate, lascia libero il diveniente di divenire, e si muove cosм nel mondo "vero". Tale posizione, tuttavia, non и definitiva; l'ultima speculazione di N. sulla veritа compie un passo estremo e raggiunge la sua ultima essenza possibile.

Innanzitutto, va rilevato che nella posizione suaccennata vi и una duplice ambiguitа, che riguarda sia la veritа che l'arte. Il vero, come si и visto, in quanto и ciт che fissa si esclude dall'autentica realtа, dunque и errore ("La veritа и la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi non potrebbe vivere", scrive N. nel brano n. 493 della Volontа di potenza). Ma in questa definizione, la veritа и pensata due volte, e in modo diverso: una volta come fissazione, e l'altra come accordo con la realtа. Solo se pensiamo la veritа come accordo, infatti, la veritа come stabilitа puт essere definita un errore. N. dunque non rifiuta la tradizionale concezione della veritа come accordo e adeguazione; essa rimane piuttosto il metro per valutare il rapporto con l'arte, che proprio sul fondamento di tale accordo и concepita come un valore superiore.

Ma qui, a proposito dell'arte, N. non parla di "veritа", ma di "parvenza", poichи anch'essa, avendo forma, и qualcosa di fissato. A questo punto, tutte le "veritа" sono soltanto specie e gradi di "errori". Se non c'и veritа, non c'и "mondo vero", tutto non diventa quindi "mondo apparente", "parvenza"?

No, perchи se vengono a mancare la misurazione e la stima rispetto a qualcosa di vero, non si puт piщ parlare di parvenza. Con ciт, и compiuto il passo decisivo verso una posizione di fondo estrema. Ma che cosa rimane se con il mondo vero viene abolito anche il mondo apparente? Non pare che tutto si dissolva nel nulla? La proposizione conclusiva dell'annotazione n. 567, afferma: "L'antitesi fra mondo apparente e mondo vero si riduce all'antitesi fra "mondo" e "nulla"".

 

L'estremo mutamento della veritа concepita in termini metafisici

In realtа, veritа e parvenza, conoscenza e arte, non possono scomparire con l'abolizione del mondo vero e del mondo apparente, poichи sono valori necessari, che appartengono al patrimonio essenziale della vita. E' invece mutata l'essenza della veritа, che si colloca all'estremo del pensiero metafisico. Nel brano n. 749, N. parla di "incantesimo", di "magia dell'estremo":

"L'incantesimo che combatte per noi, l'occhio di Venere che irretisce e acceca i nostri avversari, и la magia dell'estremo, la seduzione che viene esercitata da ogni cosa estrema: noi immoralisti siamo gli estremi..."

Il termine "immoralista" rinvia ad un concetto metafisico: "morale" и ogni metafisica, in quanto fondata sulla distinzione del mondo soprasensibile dal mondo sensibile. Definirsi "immoralista" da parte di N., significa essere al di fuori della distinzione che regge la metafisica, significa andare a quell'estremo dove non possono essere piщ ricavati da un mondo vero, i fini e i parametri per un mondo non vero e imperfetto. Ma che ne и della veritа, dopo l'abolizione di tale distinzione?

Nel Crepuscolo degli idoli, N. dа la seguente risposta:

"6. Il mondo vero lo abbiamo abolito: quale mondo и rimasto? forse quello apparente?... Ma no! con il mondo vero abbiamo abolito anche quello apparente!

(Meriggio; attimo dell'ombra piщ corta; fine del'errore piщ lungo; apogeo dell'umanitа; INCIPIT ZARATHUSTRA)"

L'indicazione di N. и: incipit Zarathustra. Zarathustra и l'eroe che tramonta, и l'estremo nella storia della metafisica. Di nuovo, domandiamoci come pensa N. nel tramonto - ossia nel compimeto della metafisica - l'essenza della veritа.