La seconda via

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L'interpretazione della veritа come tenere-per-vero concepisce il vero come stabilizzazione del caos, e quindi non corrisponde al suo carattere diveniente; dunque и errore, illusione. Sennonchи, connotare il vero come illusione ed errore, presuppone l'essenza della veritа come adeguazione e accordo (omтiosis). Con l'abolizione della distinzione metafisica, tale concezione della veritа come omтiosis muta, nel senso che diviene adattamento e insediamento della vita umana nel caos. Questo adattamento non и assimilazione a qualcosa di effettivamente presente, ma и trasfigurazione imperativo-inventiva, prospettico-orizzontica.

A questo punto si pone in modo ancora piщ netto la domanda da dove prenda la misura e la direttiva l'essere vero come adattamento. Solo l'adattamento stesso puт dare la misura, "approntare" il retto (das Rechte) e decidere sulla direttiva (Richte). La veritа, quindi, in quanto omтiosis, deve essere "giustizia" (Gerechtigkeit). (Il pensiero nietzscheano della "giustizia" и l'ultima conseguenza del fatto che la alиtheia dovette rimanere impensata nella sua essenza. L'idea di "giustizia" и l'accadimento dell'abbandono dell'ente da parte dell'essere entro il pensiero dell'ente stesso).

Per N., dunque, la "giustizia" и l'essenza della veritа nel senso del tenere-per-vero, cioи dell'adattamento al caos. Vi sono solo due annotazioni di questo periodo che definiscono tale concetto. La prima и intitolata "Le vie della libertа" ed и del 1884 [VII, II, 125-26 (ediz. critica di Colli e Montinari)]. La "giustizia" viene qui concepita come la via autentica dell'essere libero; di essa si dice quanto segue:

"Giustizia come modo di pensare costruttivo, esclusivo, distruttivo, che muove dai giudizi di valore: sommo rappresentante della vita stessa".

"Giustizia" come il pensare che "muove dai giudizi di valore" significa: quel modo fondamentale del pensiero, di quel pensiero inventivo-imperativo che fissa un orizzonte tale da assicurare la sussistenza (i "giudizi di valore" indicano appunto le condizioni essenziali del vivente).

La giustizia ha la costituzione essenziale del pensiero costruttivo, esclusivo, distruttivo: "costruttivo" (bauend), nel senso che esegue (erstellt) qualcosa che non и presente lм davanti, nи si appoggia a qualcosa di dato, ma e-rige (er-richtet) e apre una prospettiva, pone una direttiva (Richte). In questo vi и l'origine del carattere inventivo e imperativo di ogni conoscere.

Il pensiero costruttivo и al tempo stesso "esclusivo" (ausscheidend), in quanto deve de-cidere (ent-scheiden) ed es-cludere (aus-scheiden); esso и anche "distruttivo" (vernichtend) poichи elimina e libera la strada da fissazioni che impediscono possibilitа piщ elevate.

La giustizia, dunque, и il fondamento essenziale della vita, della veritа e della conoscenza. Le tre determinazioni del costruire, dell'escludere e del distruggere, che contrassegnano il modo del pensiero nei cui termini viene concepita la giustizia, dicono al tempo stesso, e soprattutto, del carattere di questo pensiero: esso и un sopraelevarsi, un diventare signore di se stesso in base ad un'altezza piщ elevata. Ma tale elevazione и l'essenza della potenza. Possiamo cosм leggere la seconda annotazione:

"Giustizia, in quanto funzione di una potenza che guarda lontano intorno a sи, che vede al di lа delle prospettive piccine del bene e del male, che ha dunque un piщ ampio orizzonte del vantaggio - l'intenzione di conservare qualcosa che и piщ di questa e quella persona" [VII, II, 171].

Questa potenza "che guarda lontano intorno a sи", и tutt'altro che una forza ciecamente impellente, ma и, essa stessa, un guardare prospettico, che apre e mantiene aperta una grande prospettiva. Nel riferimento al bene e al male, N. intende il superamento della distinzione metafisica del mondo vero e del mondo apparente. La giustizia и un vedere oltre tale distinzione, и avere "un piщ ampio orizzonte del vantaggio" (Vorteil). Ora, questo termine non va pensato secondo le rappresentazioni quotidiane, ma la parola Vor-teil, secondo il suo significato genuino, vuol dire ciт che и impartito prima di ogni partizione. Quindi questo significa: nella giustizia, in quanto apertura di prospettiva, si allarga l'orizzonte di ciт che giа dall'inizio viene impartito a ogni rappresentare e calcolare. Che cosa sia questo orizzonte, N. non lo dice, ma dalle sue parole si evince che il mirare della giustizia и superiore al destino dei singoli esseri umani, e che essa vede entro una piщ alta determinazione dell'essenza del mondo e dell'uomo occidentale moderno.

 

L'essenza della volontа di potenza. La stabilizzazione del divenire nella presenza

Da quanto detto finora emerge che la giustizia, che fonda il carattere imperativo e inventivo della conoscenza, pur determinandosi solo in base a se stessa, и la "funzione" della volontа di potenza. Si deve quindi pensare la volontа di potenza partendo dall'essenza della giustizia, e la giustizia riportandola al suo fondamento essenziale.

L'essenza della volontа di potenza и originariamente unitaria, e non puт essere pensata correttamente combinando semplicemente i due termini, "volontа" e "potenza", oppure equiparandoli l'uno all'altro. N. rifiuta di determinare l'essenza "separata" dei due termini. Per quanto riguarda la volontа, egli afferma che и una parola solo in apparenza semplice, in realtа и qualcosa di molteplice; la volontа, presa per sи, non esiste. Nondimeno, egli dice anche che essa и comando, sopraelevazione, innalzamento della propria essenza. Ma pensando l'essenza della volontа, pensiamo giа la volontа di potenza; lo stesso vale per la potenza, che и determinata come un guardare oltre, in una veduta che tutto abbraccia, in quanto superpotenziamento. Volontа di potenza significa allora: ottenere il potere della sopraelevazione di se stesso; il superpotenziamento che porta alla sopraelevazione и contemporaneamente l'atto della sopraelevazione.

Ora, tuttavia, tale concezione, che estende la giustizia a potenza fondamentale dell'ente in generale, non diventa una antropomorfizzazione di tutto ciт che и? Di ciт N. и consapevole, come si evince dal brano n. 614 della Volontа di potenza:

""Antropomorfizzare" il mondo, cioи sentirci sempre piщ in esso come signori".

Tale antropomorfizzazione, che deriva da una interpretazione dell'essere-uomo che и nel fondo della sua essenza volontа di potenza, fa parte della storia finale della metafisica, caratterizzata dall'abbandono dell'essere.

Nella interpretazione di N. giunge a compimento la concezione dell'essere, che i Greci determinarono come stabilitа della presenza. Per N. l'essenza dell'ente и il caos, il divenire, che si determina come volontа di potenza. Ciт non significa, perт, "rimuovere" l'essere a favore del divenire, poichи quest'ultimo и pensato nella sua stabilitа. Infatti la volontа di potenza, nella sua essenza piщ profonda, non и altro che la stabilizzazione del divenire nella presenza. In una annotazione del 1888 (La volontа di potenza, n. 617), egli scrive:

"Ricapitolazione:

"Imprimere al divenire il carattere dell'essere - и questa la suprema volontа di potenza".

Ecco dunque che, nel pensiero della volontа di potenza, viene ripensato il pensiero iniziale dell'essere come physis, non come imitazione del primo inizio, ma come trasformazione del pensiero moderno dell'ente. Ma qui, nel suo compimento, la domanda della veritа, nella cui essenza l'essere stesso и presente, non soltanto rimane non domandata, ma viene sepolta nella sua problematicitа. Per questo il compimento diventa una fine: l'essere и coperto dall'ombra dell'ente e della supremazia del cosiddetto reale. Tale adombramento proviene tuttavia dall'essere stesso, fa parte della storia dell'essere, caratterizzata dal rifiutarsi della veritа.

Questa fine и perт la necessitа dell'altro inizio; sta a noi cogliere tale necessarietа e capire la fine come compimento.

"Eppure, scorgendo questa ombra come ombra, noi stiamo giа in un'altra luce, senza trovare il fuoco da cui emana il suo rilucere".

 

L'interpretazione della veritа come tenere-per-vero concepisce il vero come stabilizzazione del caos, e quindi non corrisponde al suo carattere diveniente; dunque и errore, illusione. Sennonchи, connotare il vero come illusione ed errore, presuppone l'essenza della veritа come adeguazione e accordo (omтiosis). Con l'abolizione della distinzione metafisica, tale concezione della veritа come omтiosis muta, nel senso che diviene adattamento e insediamento della vita umana nel caos. Questo adattamento non и assimilazione a qualcosa di effettivamente presente, ma и trasfigurazione imperativo-inventiva, prospettico-orizzontica.

A questo punto si pone in modo ancora piщ netto la domanda da dove prenda la misura e la direttiva l'essere vero come adattamento. Solo l'adattamento stesso puт dare la misura, "approntare" il retto (das Rechte) e decidere sulla direttiva (Richte). La veritа, quindi, in quanto omтiosis, deve essere "giustizia" (Gerechtigkeit). (Il pensiero nietzscheano della "giustizia" и l'ultima conseguenza del fatto che la alиtheia dovette rimanere impensata nella sua essenza. L'idea di "giustizia" и l'accadimento dell'abbandono dell'ente da parte dell'essere entro il pensiero dell'ente stesso).

Per N., dunque, la "giustizia" и l'essenza della veritа nel senso del tenere-per-vero, cioи dell'adattamento al caos. Vi sono solo due annotazioni di questo periodo che definiscono tale concetto. La prima и intitolata "Le vie della libertа" ed и del 1884 [VII, II, 125-26 (ediz. critica di Colli e Montinari)]. La "giustizia" viene qui concepita come la via autentica dell'essere libero; di essa si dice quanto segue:

"Giustizia come modo di pensare costruttivo, esclusivo, distruttivo, che muove dai giudizi di valore: sommo rappresentante della vita stessa".

"Giustizia" come il pensare che "muove dai giudizi di valore" significa: quel modo fondamentale del pensiero, di quel pensiero inventivo-imperativo che fissa un orizzonte tale da assicurare la sussistenza (i "giudizi di valore" indicano appunto le condizioni essenziali del vivente).

La giustizia ha la costituzione essenziale del pensiero costruttivo, esclusivo, distruttivo: "costruttivo" (bauend), nel senso che esegue (erstellt) qualcosa che non и presente lм davanti, nи si appoggia a qualcosa di dato, ma e-rige (er-richtet) e apre una prospettiva, pone una direttiva (Richte). In questo vi и l'origine del carattere inventivo e imperativo di ogni conoscere.

Il pensiero costruttivo и al tempo stesso "esclusivo" (ausscheidend), in quanto deve de-cidere (ent-scheiden) ed es-cludere (aus-scheiden); esso и anche "distruttivo" (vernichtend) poichи elimina e libera la strada da fissazioni che impediscono possibilitа piщ elevate.

La giustizia, dunque, и il fondamento essenziale della vita, della veritа e della conoscenza. Le tre determinazioni del costruire, dell'escludere e del distruggere, che contrassegnano il modo del pensiero nei cui termini viene concepita la giustizia, dicono al tempo stesso, e soprattutto, del carattere di questo pensiero: esso и un sopraelevarsi, un diventare signore di se stesso in base ad un'altezza piщ elevata. Ma tale elevazione и l'essenza della potenza. Possiamo cosм leggere la seconda annotazione:

"Giustizia, in quanto funzione di una potenza che guarda lontano intorno a sи, che vede al di lа delle prospettive piccine del bene e del male, che ha dunque un piщ ampio orizzonte del vantaggio - l'intenzione di conservare qualcosa che и piщ di questa e quella persona" [VII, II, 171].

Questa potenza "che guarda lontano intorno a sи", и tutt'altro che una forza ciecamente impellente, ma и, essa stessa, un guardare prospettico, che apre e mantiene aperta una grande prospettiva. Nel riferimento al bene e al male, N. intende il superamento della distinzione metafisica del mondo vero e del mondo apparente. La giustizia и un vedere oltre tale distinzione, и avere "un piщ ampio orizzonte del vantaggio" (Vorteil). Ora, questo termine non va pensato secondo le rappresentazioni quotidiane, ma la parola Vor-teil, secondo il suo significato genuino, vuol dire ciт che и impartito prima di ogni partizione. Quindi questo significa: nella giustizia, in quanto apertura di prospettiva, si allarga l'orizzonte di ciт che giа dall'inizio viene impartito a ogni rappresentare e calcolare. Che cosa sia questo orizzonte, N. non lo dice, ma dalle sue parole si evince che il mirare della giustizia и superiore al destino dei singoli esseri umani, e che essa vede entro una piщ alta determinazione dell'essenza del mondo e dell'uomo occidentale moderno.

 

L'essenza della volontа di potenza. La stabilizzazione del divenire nella presenza

Da quanto detto finora emerge che la giustizia, che fonda il carattere imperativo e inventivo della conoscenza, pur determinandosi solo in base a se stessa, и la "funzione" della volontа di potenza. Si deve quindi pensare la volontа di potenza partendo dall'essenza della giustizia, e la giustizia riportandola al suo fondamento essenziale.

L'essenza della volontа di potenza и originariamente unitaria, e non puт essere pensata correttamente combinando semplicemente i due termini, "volontа" e "potenza", oppure equiparandoli l'uno all'altro. N. rifiuta di determinare l'essenza "separata" dei due termini. Per quanto riguarda la volontа, egli afferma che и una parola solo in apparenza semplice, in realtа и qualcosa di molteplice; la volontа, presa per sи, non esiste. Nondimeno, egli dice anche che essa и comando, sopraelevazione, innalzamento della propria essenza. Ma pensando l'essenza della volontа, pensiamo giа la volontа di potenza; lo stesso vale per la potenza, che и determinata come un guardare oltre, in una veduta che tutto abbraccia, in quanto superpotenziamento. Volontа di potenza significa allora: ottenere il potere della sopraelevazione di se stesso; il superpotenziamento che porta alla sopraelevazione и contemporaneamente l'atto della sopraelevazione.

Ora, tuttavia, tale concezione, che estende la giustizia a potenza fondamentale dell'ente in generale, non diventa una antropomorfizzazione di tutto ciт che и? Di ciт N. и consapevole, come si evince dal brano n. 614 della Volontа di potenza:

""Antropomorfizzare" il mondo, cioи sentirci sempre piщ in esso come signori".

Tale antropomorfizzazione, che deriva da una interpretazione dell'essere-uomo che и nel fondo della sua essenza volontа di potenza, fa parte della storia finale della metafisica, caratterizzata dall'abbandono dell'essere.

Nella interpretazione di N. giunge a compimento la concezione dell'essere, che i Greci determinarono come stabilitа della presenza. Per N. l'essenza dell'ente и il caos, il divenire, che si determina come volontа di potenza. Ciт non significa, perт, "rimuovere" l'essere a favore del divenire, poichи quest'ultimo и pensato nella sua stabilitа. Infatti la volontа di potenza, nella sua essenza piщ profonda, non и altro che la stabilizzazione del divenire nella presenza. In una annotazione del 1888 (La volontа di potenza, n. 617), egli scrive:

"Ricapitolazione:

"Imprimere al divenire il carattere dell'essere - и questa la suprema volontа di potenza".

Ecco dunque che, nel pensiero della volontа di potenza, viene ripensato il pensiero iniziale dell'essere come physis, non come imitazione del primo inizio, ma come trasformazione del pensiero moderno dell'ente. Ma qui, nel suo compimento, la domanda della veritа, nella cui essenza l'essere stesso и presente, non soltanto rimane non domandata, ma viene sepolta nella sua problematicitа. Per questo il compimento diventa una fine: l'essere и coperto dall'ombra dell'ente e della supremazia del cosiddetto reale. Tale adombramento proviene tuttavia dall'essere stesso, fa parte della storia dell'essere, caratterizzata dal rifiutarsi della veritа.

Questa fine и perт la necessitа dell'altro inizio; sta a noi cogliere tale necessarietа e capire la fine come compimento.

"Eppure, scorgendo questa ombra come ombra, noi stiamo giа in un'altra luce, senza trovare il fuoco da cui emana il suo rilucere".